SCRITTI DI ESTETICA
A cura di: Antonio Zimarino
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Lezione 6

" Visibile parlare e parlare invisibile"

In questo nostro tempo possiamo notare una grande abbondanza di immagini, simboli, combinazioni visive di ogni tipo che farebbero pensare che questa sia proprio "l'età dell'immagine"; del resto è vero che attualmente per la normale socialità sembra contare spesso più l'immagine che si offre, piuttosto che la sostanza di ciò che si è.

L'immagine di per sé, comunica e oggi essa è il veicolo privilegiato della "comunicazione di massa": essa carica il nostro immaginario delle più disparate valenze simboliche e significative, sviluppando un "visibile parlare" (attraverso il linguaggio pubblicitario, grafico e filmico) ricchissimo, che comunica concetti e modelli immediatamente riconoscibili. Perché ciò avvenga essa fa leva su elementi essenziali della psicologia umana, per arrivare rapidamente ad orientare il gusto e la sensibilità.

Questa "comunicazione di massa" ha educato ed educa la nostra sensibilità all'immagine: non a caso "fare arte" oggi, diventa il più delle volte un modo di raccontare o di imporre una volontà espressiva attraverso la manipolazione della realtà rappresentata, imponendole dei significati simbolici oppure, sottintendendoli in modo ambiguo, per far si che comunque, si possa riconoscere qualcosa di almeno probabile in ciò che si fa. Le simbologie vengono poi "spettacolarizzate" (attraverso la "trasgressione", la "provocazione" rispetto ai consueti linguaggi o alle forme comunemente accettate) in modo che attirino l'attenzione: l'artista ritenendo conveniente il dover "urlare più forte" e intendendo farsi notare in un contesto ormai troppo competitivo, (propone) impone un mondo simbolico esagitato o ambiguamente provocatorio, attraverso cui intende leggere e presentare le sue soggettive esperienze della realtà.

Da sempre, nelle arti figurative, l'operazione di "simboleggiare" costituisce uno dei livelli più semplici di esprimere un significato: la comprensione di ciò che si intende esprimere è affidata a riferimenti esterni, spesso letterari / narrativi, che tolgono al pittore il problema di riflettere sull'autonomia e la specificità del linguaggio figurativo.

E' sempre più difficile trovare artisti dove il dipingere e il "fare arte" siano diventati altri modi di "conoscere", commentare, apprendere o meditare sull'oggetto che si rappresenta o sui modi della sua rappresentazione. Questi rari personaggi intendono sinceramente ricercare nuovi spazi espressivi che siano, oltre che una propria riflessione sulle esperienza delle cose, anche un riflesso significativo e durevole del proprio tempo.

La "comunicazione di massa" (e il suo modo di diffondere una particolare concezione dell'immagine) non aiuta affatto ad aumentare la nostra capacità di "comprendere attraverso il guardare", o di scoprire il profondo senso creativo dell'immaginare. Essa tende a moltiplicare gli atteggiamenti trasgressivi, spettacolari e imprevedibili, imponendo delle categorie visive che identificano come "creativo" solo l'insolito, e come "immagine" solo ciò che traduce sinteticamente delle comunicazioni verbali.

Da queste accenni ad alcune problematiche dell'attività artistica odierna, si comprende come oggi sia necessario tentare di recuperare un'idea più costruttiva del "fare arte" e dell'immaginare. Questo non implica un rifiuto del "figurativo" ma è certamente passando attraverso l'esperienza dell'arte astratta e dei diversi modi di interpretarla, che ci si può liberare dalla visione che oggi ci viene imposta dalla "comunicazione di massa", dalle sue vuote spettacolarizzazioni e da quell'autentica trappola per la pittura che è il voler fare delle immagini delle "parole".
Porsi di fronte ad un dipinto genericamente definibile "informale", può permettere all'osservatore di liberarsi dalle trappole dei linguaggi simbolici che tendono a tradurre visivamente le categorie significative, narrative che appartengono alla letteratura, alla verbalizzazione.

Un quadro astratto non lo si può guardare con la pretesa di capirlo e di comprenderne il suo senso con il colpo d'occhio, ma lo si deve percorrere lentamente in molte delle sue componenti. Il suo "non - significare" apre ad una riflessione più attenta delle caratteristiche che lo compongono: l'occhio deve andare libero nelle vibrazioni della superficie e del colore; bisogna individuare la luce nelle sue varie incidenze sulla superficie, i cromatismi, le associazioni e persino l'andamento del pennello nella stesura del colore. Chi intende prendersi il tempo per far ciò, scoprirà che esiste oltre un "visibile parlare" della pittura, un ben più affascinate "parlare invisibile", fatto di vari accordi e di armonie complesse, di un mondo variegato all'interno di una superficie apparentemente incomunicabile e contraddittoria, semplicemente perché non sbandiera simbolismi.

Il "parlare visibile" impedisce spesso di andare oltre ciò che si rappresenta, perché se il senso del dipingere fosse solo rappresentare, una volta tradotta letterariamente, l'immagine non avrebbe più molto senso di esistere. Ed in un certo senso, l'estrema deriva di ciò sta proprio nelle istanze dell'arte concettuale.

Non è sempre facile trovare chi ancora intende dipingere o dedicarsi alle arti visive con un atteggiamento verso l'immagine più profondo e umile. Non è facile sfuggire alla trappole dell' "affermare", del recitare, del simboleggiare parole e concetti attraverso le immagini; per dipingere è necessario tornare a "cercare" l'immagine a cercare nell'immagine, mettendosi pazientemente in attesa di essa, in modo che progressivamente essa possa "formarsi", durante il processo operativo, certo, ma anche durante la "quotidianità" più banale, quando interiormente ritorna la necessità di chiarificare e consolidare il senso di ciò che dentro si va agitando, formando e prendendo senso.

Per far questo è necessario interrogarsi continuamente e interrogare ciò che è stato fatto e ciò che si sta facendo; è necessario ritornare ad un'etica dell'attività artistica, un'etica dell'attesa: attendere che arrivi il modo e il momento perché dall'interno della propria vita quotidiana (fatta dalle preoccupazioni e delle gioie di una persona normale e del lavoro paziente intorno ai colori), avvenga la "scoperta", lo svelamento improvviso di una combinazione che plachi un'ansia interiore, difficile altrimenti da chiarire.

In questo modo il "quadro", o qualsiasi altra opera sia, "si costruisce" in un processo interiore che matura nel tempo stesso che si vive: si può partire da un'idea e lasciare che lentamente essa si disponga tra i colori; così facendo il quadro si compone attraverso le ore e i giorni, talvolta dimenticato, per essere poi ripreso come il filo di un ragionamento interrotto. Altre volte tutto può nascere già formato in un istante imperdibile e irripetibile, ma possibile da cogliere solo a chi sa attendere.

La scelta di un simile modo di lavorare, rende gli artisti liberi dall'obbligo di esserlo, perché l'autenticità della propria attività è nell'autenticità della propria esperienza: il proprio dovere è in ciò che dentro se stessi si coglie, non nell'obbligo di una produzione seriale. Le opere o le esecuzioni diventano brani unici, legati tra loro dalle soluzioni formali come fili di un discorso che continua dentro.

Le opere nascono da occasioni ed esperienze, talvolta come i frutti più puri che la propria interiorità sente di poter offrire, altre volte sono anche una sorta di "specchi", entro cui guardarsi, entro cui cogliere il senso degli istanti che sono trascorsi.

Un simile modo di lavorare non può che richiedere del tempo, esteriore ed interiore: solo una meditazione silenziosa è in grado di ricombinare, in una visione unitaria, le esperienze che si sono vissute. Alle volte dopo che si è pazientemente atteso e lavorato, l'idea dell'opera scaturisce inattesa: è un istante intravisto che attende di essere colto così come è improvvisamente sorto dagli occhi interiori. Questo è autenticamente umano e profondamente artistico, essenziale del processo creativo dell'immagine: attendere risposte, non pretendere di darne, educando gli occhi interiori alla pazienza.

L'atteggiamento dell'interrogarsi, dell'attendere, del paziente osservare, dello studiare e del meditare, appartiene strutturalmente all'esperienza spirituale dell'uomo. La "fatica" dell'arte ha la struttura della meditazione spirituale, come ci svela anche l'esperienza dell'arte e della spiritualità orientale, in particolar modo buddhista: non c'é grande differenza tra il risultato e il processo creativo realizzato, da questo atteggiamento etico del "fare arte" con il processo e il risultato della meditazione, della pittura o dell'architettura del giardino Zen. Non è diverso, forse soltanto più codificato, il processo rituale dello "Shodo", della Via della Scrittura, come del resto simile è l'atteggiamento dei pittori di icone: pittura come processo dell'essere, come approfondimento di sé, come percorso meditativo.

Non necessariamente un simile atteggiamento nei confronti del processo creativo genera un arte lontana dagli interessi del mercato: sicuramente essa sarà lontana dalle sue regole. Il "mercato" che quest'arte incontra è quello delle persone che vivono l'arte sulla stessa lunghezza d'onda, con lo stesso atteggiamento interiore e con le stesse intenzioni. Può aver invece delle difficoltà ad entrare in relazione con la "comunicazione di massa" in quanto le sue regole non sono quelle dell'etica creativa che le genera.

Senza porsi di fronte ai principi della coerenza interiore e dell'approccio non mercantilistico, ma assolutamente spirituale, non se ne comprende il senso: essa pretende da chi la osserva, solo un approccio "rovesciato" rispetto a quello a cui ci ha abituato il "mercato" dell'arte. Si crea perché l'esigenza interiore è urgente, perché il proprio modo di vivere la realtà lo richiede, perché è un modo per dar forma alla propria anima. Cultura figurativa, tecnica, tela e colore sono i mezzi e non il fine della produzione artistica e creativa. Essi servono solo a dare il corpo a ciò che si é, si vorrebbe essere o si intuisce di poter essere.

Dipingere è ricercare gli echi e le impressioni del "parlare invisibile": chiunque si ponga con la pretesa unica di "proclamare" qualcosa, è destinato a rimanere legato e imprigionato al suo tempo e il suo "parlare visibile" non sarà mai in grado di superare i limiti ristretti della cultura entro cui la sentenziosità dei simbolismi si è espressa.

Negli artisti più sinceri è custodita dentro un'intima nostalgia di "creare" di nuovo: alcuni, hanno la coerenza di inseguire questo segreto, prima che perseguire "la pittura" fine a se stessa. Questa categoria di artisti. è fatta di persone che spesso attendono pazienti e silenziose che il frutto di questo desiderio appaia talvolta tra le pieghe della vita giornaliera, per poterlo fermare in qualche modo; ma ciò, per una sorta di singolare "contrappasso" non può avvenire se non con grandi sacrifici interiori e con dolorose incomprensioni circostanti. Questa categoria di artisti chiede soprattutto che di loro si riconosca la sincerità della propria ricerca e della propria esperienza, e che si comprenda come hanno voluto tradurla, e la qualità di ciò che hanno cercato di realizzare.

Per poter continuare a vivere inseguendo questa "qualità" di vita e di pittura, bisogna essere in qualche modo sempre "feriti" interiormente dal desiderio di cogliere nel vivere, ciò che è assoluto, ciò che non passa, ciò che vale veramente: bisogna essere pronti a raccoglierne il profumo, il ricordo, l'impressione o solo l'eco lontana. L'opera o la vita che nasce dall'aver partecipato un istante alla percezione dell'assoluto, resta tra il colore, l'oggetto e il tracciato che li organizza, attendendo che altri li sappiano cogliere a loro volta.

Questa dimensione del fare arte ci restituisce una nostalgia di qualcosa di Assoluto, di qualcosa di inesprimibile altrimenti, quel gusto profondo di un tale intricarsi nelle forme creative di Infinito e di Finito, da prometterci che il vivere non è solo affanno ma una attesa paziente di istanti eterni.

L'arte dovrebbe forse avere questa "anacronistica" pretesa di tendere alla purezza assoluta del proprio essere e dell'identità dell'Uomo - Artista: vorrebbe che una bellezza si potesse vedere anche attraverso il grido o lo stridore, o da una vibrazione svelata da una casuale luce incidente sulla superficie, di un colore che si svela a fatica sotto un groviglio faticoso, che si stagli purissimo su uno sfondo informe; ma anche dalla complessità di una installazione, dall'iconografismo mobile di un video, dalla rappresentazione di un'immaginare che è performance. Forse sarebbe necessario che ciascuno si lasci portare in ciò che osserva, compiendo quell'atto di umiltà che l'artista ha già compiuto e lasciare che l'immagine parli, senza filtrarla: perdersi in ciò che il colore compie, in ciò che il pennello disegna e in quello che le impreviste vibrazioni dei segnali in uno spazio, mettono in risalto, anche se tutto appare semplice ad uno sguardo veloce, è nel tempo, dentro l'unità discreta di ciò che è stato realizzato che può realizzarsi un'imprevedibile incontro con una bellezza inattesa.


Theorèin - Ottobre 2004